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Giornata mondiale per la consapevolezza sull'autismo: ti racconto la mia storia.


Prima di raccontarti questa STORIA che contiene un messaggio e anche un’attività creativa che anche TU puoi proporre ai tuoi bambini e studenti, volevo assicurarmi che fossi comoda/o e ascoltassi le mie parole, immaginando il percorso e immedesimandoti in me, senza giudizio, ma solo con l’idea che la mia storia potrebbe arricchirti così come far nascere una riflessione o semplicemente essere una storia, così com’è.

Puoi scegliere di leggerla oppure di sentirla raccontare in un video, di cui ho messo il link qui sotto. Buona lettura o visione!

P.S. per l’attività creativa, dovrai comunque guardare il video, ma ti lascerò qui, una foto e capirai subito cosa fare. Lascia spazio alla fantasia. In fondo all’articolo, lascerò anche altre foto di palloncini creati da bambini e famiglie o che lavorano con me o che seguono i contenuti di vanEducation.

Un grazie speciale =)

La primissima volta che ho incontrato l'autismo a tu per tu, con intervento 1:1 è stato...devastante!

Si trattava di una delle mie primissime supplenze come insegnante di sostegno e, sebbene, fossi alle prime armi, ero comunque fiduciosa e piena di energia, tratto distintivo, che mi contraddistingue come persona.

Il caso era molto grave, non scenderò troppo nei dettagli per privacy ma vi dico solo che, oltre all'autismo, il tratto maggiormente caratteristico di quel bambino (userò il maschile, senza specificare, se fosse realmente maschio o femmina, sempre per privacy) era che fosse oppositivo-provocatorio con rigidità davvero marcate. Non erano le stereotipie, i movimenti di sfarfallio o l'ecolalie, erano proprio le rigidità che non ti permettevano di respirare nemmeno in modo diverso senza che il bambino avesse una crisi di nervi che sfociava in comportamenti aggressivi e pericolosi, per sé stesso e per gli altri. La cosa più disarmante di quell'esperienza, era che io fossi stata lasciata completamente SOLA.

All'epoca, nonostante, chi mi conosce lo sa, fossi estremamente solare, fiduciosa nel prossimo, disponibile e piena di vita, avevo un team di…. streghe. In particolare una. Ricordo bene le sue parole di non-inclusione: “il bambino è tuo e te lo gestisci TU. Non mi interessa cosa ti inventerai, è un problema TUO”.

Per non parlare del fatto che ovviamente era impensabile per quel team includere il bambino in mezza attività della classe. Eravamo costantemente confinati in una aula adiacente.

Sarebbe potuto cascare il mondo ma nessuno sarebbe intervenuto. Ero sola, col senno di poi, certo, mi sarei potuta appellare a mille persone, ma ai tempi, è andata così.

Non avevo nemmeno il supporto della famiglia, che non accettava la diagnosi, arrivata moooolto tardi proprio perché i genitori non volevano far partire tutto l'iter perché le consideravano solo crisi di rabbia. Genitori giovanissimi che andavano sicuramente sostenuti e accompagnati, invece è stato creato un muro altissimo che mi sono ritrovata appena arrivata in quella scuola. I genitori, dal primo giorno sulla difensiva, sembravano feriti e attaccati dal sistema scuola.

Mi sentivo impotente.

Se c'è una cosa, però, che non ho smesso di fare, nonostante la fatica, i morsi sulle braccia e i lividi, i pianti ogni sera e i coltelli nello stomaco appena varcata la soglia di quella scuola, è stata arrendermi. Avrei potuto farlo in qualsiasi momento. Non vi nego che qualcuno in passato avesse mollato a metà. Ma io volevo trarre insegnamento da quell'esperienza. Questo perché, anche quando la vita è ardua e difficile, e soprattutto quando è ardua e difficile, il presente rappresenta sempre un'opportunità per imparare, crescere e diventare migliori di quanto si sia mai stati.

Così ho iniziato a studiare in maniera approfondita l'autismo. Non c'è libro che non mi sia passato tra le mani. Lo dovevo a quel bambino. Lo dovevo a me stessa e lo dovevo anche a tutti quegli insegnanti e quelle famiglie che vengono lasciate da sole.

Io mi sono rimboccata le maniche e ho portato a termine l'anno ma voglio comunque lanciare il messaggio di non fare mai questo errore, di confinare le persone, di farle sentire inutili e impotenti. Di considerare i bambini come dei problemi. Di considerare questi bambini, così speciali, come "un caso perso", che resterà per sempre così.

Nel tempo, dopo quell'esperienza, non mi sono arresa e ho accettato anche nuovi casi di autismo a scuola. Mettetevi nei miei panni. Non sono scesa nei dettagli ma alcuni momenti sono stati davvero di shock, e chi conosce le crisi, vere, di bambini con rigidità di questo tipo, sa quanto può essere dura, contenerle e gestire fisicamente l'aggressività.

Eppure poi, ho visto tutto da un'altra prospettiva. Ho cercato di coinvolgere sempre le colleghe nei progressi dei miei studenti e mi sono lasciata coinvolgere nelle attività di classe. Ho sempre stimato e portato su un palmo di mano le educatrici stupende che ho incontrato nel mio lavoro e cercato di fare quanta più squadra possibile.

Qualche anno fa ecco che mi si ripresenta l'occasione di avere un bambino che, dalla descrizione del dirigente e dall'insegnante di sostegno precedente, sembrava tutto fuorché un caso semplice e gestibile. Ho accettato lo stesso.

Qui la svolta. Il bambino seguiva da poco una terapia che avevo già sentito nominare nei libri e manuali studiati ma che non avevo ancora avuto modo di approfondire nella quotidianità.

Ancora una volta ho approfondito. Ho studiato. E tanto. Ho seguito il corso per diventare tecnico ABA perché sapevo che l'autismo potesse avere una chance. E io volevo dargliela, per quel bambino di diversi anni prima. Lo dovevo a lui. Lo dovevo a me stessa.

Cercate di capire come mi sia sentita ILLUMINATA, e davvero, non esagero quando dico illuminata, perché stavo finalmente dando delle risposte concrete a quello che in passato mi ha completamente devastata. Le risposte erano arrivate.

E, nonostante io abbia studiato Pavlov, Skinner e tutta la teoria del comportamento, del condizionamento operante e ricordi ancora le lezioni del mio prof. di psicologia al liceo e delle lezioni all'università, non lo avevo mai applicato con l'autismo.

Lo so che l'ABA non è la soluzione a tutto ma sapete quante persone, insegnanti e famiglie possono trovare conforto e sollievo anche solo sapendo e conoscendo queste procedure?

Sapete quanti bambini possono essere inclusi nuovamente nelle classi, implementando repertori socialmente condivisi e accettabili?

Nella giornata internazionale dedicata all'autismo, mi sento di invitare tutte le persone che lavorano con l'autismo, in particolare quelle che, come me in passato, non sono preparate sull'argomento e sperano di andare a tentoni, di informarsi, di studiare, di acquisire competenze perché tutti i bambini meritano persone competenti al loro fianco. Ecco perché per me la formazione è diventata la base di ogni mia esperienza.

Mi sono sempre interrogata in quanto professionista e non mi sono mai sentita arrivata e mai vorrò essere come quella collega strega che, da grande sapientona, ha delegato bellamente, liberandosi del problema. Abbiamo il dovere di aiutare, intervenire e sostenere in primis il bambino e poi la famiglia e gli operatori che lavorano per il benessere del bambino.

Lavorare in sinergia ha tutta un'altra ricaduta sull'apprendimento del bambino e sui suoi progressi.

Non dimenticatelo!

Per questa ricorrenza, ho disegnato un palloncino al cui interno vi sono molte strade intricate. La mente di un bambino con autismo è pressappoco così. Ricordo ancora un mio formatore che disse:

"la mente di un bambino con autismo è come trovarsi in metropolitana all'ora di punta. Costantemente. Di giorno e di notte."

E da qui nasce questo mio disegno. Un palloncino che lascia andare il peso dei pensieri e punta verso l'alto.


L'arte è sempre stato un modo interessante di avvicinarmi a questi bambini, compreso quel mio primo caso difficilissimo.

Ho sempre comunicato attraverso il mezzo espressivo e sento di aver creato un legame profondo con molti bambini.

Oggi sono una terapista e sono felicissima e innamoratissima dei bambini che seguo, uso ancora l'arte per avvicinarmi a loro e ovviamente anche tutte le procedure, ma la mia creatività mi permette di dare quel tocco in più in terapia.

Un altro segreto, se possiamo così definirlo, è la calma e la consapevolezza. In primis dell'operatore per poi trasmetterla al bambino accanto a noi. Ricordo che le profonde crisi e l'aggressività di quel mio primo bambino, si attenuavano ogni volta che gli proponevo esercizi di respirazione e una pratica chiamata "sigillo al cuore". Ancor prima di diplomarmi come istruttrice di yoga per bambini, ho sempre pensato che se fossi stata agitata e nervosa avrei trasmesso quella sensazione anche ai bambini, viceversa, se fossi stata calma, serena e solare, avrei trasmesso altrettanto ai bambini.

Spero che questa testimonianza ti sia stata utile e ti abbia fatta riflettere nel tuo ruolo di educatore, insegnante, terapista o genitore.

Grazie per l'ascolto.

Un palloncino blu per tutti i bambini.

Guarda il video messaggio e il video tutorial:

Con sincero affetto,

Vanessa | vanEducation